Il quotidiano “La Verità” da qualche giorno sta pubblicando l’elenco dei contributi pubblici erogati per sostenere il cinema italiano. Ovviamente ne beneficiano innanzitutto registi e attori che hanno lauti compensi (cachet), ben superiori a quelli delle maestranze (elettricisti, costumisti, attrezzisti, truccatori, fotografi, macchinisti, fonici, falegnami e molti altri).
È davvero sconsolante apprendere come milioni di euro, frutto delle imposte raccolte dai contribuenti italiani, siano sperperati per finanziare film che non raccolgono il favore degli spettatori. Si contano sulle dita di una mano le pellicole che hanno chiuso in utile perché premiate dal pubblico.
Nel 2021, quando il ministro della Cultura era Dario Franceschini del Partito Democratico, si è arrivati a finanziare centinaia di opere poi rivelatesi tutte in perdita al botteghino. Ci sono stati cineasti che, a fronte di 1.263.949, 920.534, 530.042 euro ottenuti per i loro progetti, hanno incassato dalle vendite dei biglietti rispettivamente 162, 481, 222 euro. Uno scandalo.
Il fatto che il cinema sia cultura non può essere l’alibi per finanziare qualsiasi opera che gli operatori di quel mondo propongono.
Purtroppo sono scomparsi i registi come Blasetti, De Sica, Rossellini, Germi, Zavattini, Fellini, Zeffirelli, Pasolini o gli attori come Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Totò, De Filippo, Fabrizi, Sordi, Mastroianni, Gassman, Manfredi, Tognazzi, che hanno reso famoso il cinema italiano.
L’attuale Settima arte italiana offre un panorama più modesto di figure prestigiose che si sono fatte onore anche all’estero: Loren, Giannini, Nero, Benigni, Leone, Hill (Girotti),Verdone.
Di contro non sono pochi i guitti entrati nel mondo dello spettacolo esclusivamente per il nome che portano, i quali, spesso con arroganza, si danno arie d’artista.
Ecco, che lo Stato debba mantenere queste persone è francamente disarmante. Così come scorretto è il finanziamento alla stampa. Cinema, televisione, stampa non devono pesare sull’erario statale. In un Paese sano e davvero democratico le imposte devono essere destinate ai servizi utili ai cittadini: salute, istruzione, opere pubbliche, sicurezza.
Perché alcuni comici riempiono i teatri mentre pseudo registi e attori (che imperversano in tanti programmi Rai) campano grazie a spettacoli realizzati con contributi pubblici?
Identica domanda dobbiamo porci per quanto riguarda i giornali. Parlamento e Governo regolino la comunicazione ma non la sostengano. Chi produce spettacoli e giornali metta mano al portafogli e si finanzi. Se spettatori e lettori gradiscono un’opera l’acquistano anche a caro prezzo.
Lo Stato controlli i flussi della pubblicità e, con una legislazione ad hoc, impedisca che si formino monopoli ed oligopoli che controllano la comunicazione. Giuridicamente è possibile incentivare la costituzione di cooperative di giornalisti in modo da creare tanti soggetti che, nel libero mercato dell’informazione, si facciano concorrenza.
La pluralità delle idee si garantisce favorendo un ampio numero di attori che operano nella comunicazione. Non è più tollerabile che il denaro pubblico sia elargito a categorie di persone che, non si comprende per quale ragione, si ritengano per antonomasia depositarie della cultura.
Deve valere per tutti il principio che l’assistenza è garantita esclusivamente ai soggetti fragili. Registi, attori, artisti di vario genere, giornalisti devono campare del proprio lavoro. Se sono in grado di bastare a sé stessi, bene; diversamente si trovino un’altra occupazione. Senza editori puri e autonomi produttori cinematografici muore la democrazia.
Un plauso al ministro della Cultura, Alessandro Giuli che, su proposta di Nicola Borrelli, direttore generale Cinema e Audiovisivo, ha sospeso i lavori della “Commissione per la concessione di contributi alle attività di promozione cinematografica e audiovisiva”, al fine di ridefinire il sistema di valutazione e assegnazione dei contributi. È un primo passo verso il rispetto per quel denaro pubblico raccolto dal lavoro di milioni i italiani.